Otello Rosa - artista veneziano

Otello Rosa

Venezia 1920

Montebelluna 2007

RECENSIONE PER LA MOSTRA ANTOLOGICA DI OPERE DI PITTURA E GRAFICA DAL 1967 AL 1989 PRESSO LA CASA DEI CARRARESI - 1989 - (ADRIANO MÀDARO)

Recensione di Adriano Màdaro

FEDERICO MORO - PROLOGO "LA LIBERTÀ DELLA SCHIAVITÙ" 2011

Il mio nome? Otello Rosa, veneziano. Il posto dove sono nato è importante. No, non solo perché si tratta di Venezia, certo la città anfibia è già un luogo speciale, impasto di fango, storia e arte. Il fatto, però, è che conta per me: la mia vita è rimasta segnata dalla nascita.
In verità si è trattato di un peccato originale, da cui ho cercato di liberarmi. Per ottantasette, lunghi, anni. Invano, temo. Sorpresi?
Immagino di sì, sia chi mi ha conosciuto, sia quanti scorrendo qualche nota biografica si sono accorti di un dettaglio: ho passato più di metà dell’esistenza lontano dall’isola. Non solo, una volta andato via mi sono ben guardato dal rimettervi piede. Eppure…
Gli anni decisivi per la formazione di ciascuno di noi si collocano tra adolescenza e giovinezza. Dopo si aggiungono particolari o poco più. È stato così anche per me e questo spiega la ragione per cui Venezia è diventata la mia prima ossessione. Mi è entrata nel sangue da ragazzo e non ha voluto saperne di lasciarmi andare. La prova? Quadri, disegni, ceramiche, questa stessa casa in cui sono vissuto e ora mi ospita come ombra tra ombre. Se la giornata è limpida, dal giardino si scorgono i campanili delle chiese lagunari. Proprio da quassù, Mercato Vecchio di Montebelluna.
Si potrebbe dire che, scegliendo di abbandonare Venezia, in un certo senso sono andato alla ricerca delle mie radici. E le ho trovate prima a Jesolo, alla foce di quel Piave una delle matrici della città anfibia, e qui, terra ancora impregnata di tracce dei Veneti Antichi: quelli celebrati da Greci e Romani perché “dai bei cavalli”, capaci di trasmettere il proprio nome all’intera regione e alla sua città principale. Gente la cui lingua era scritta oltre che parlata, in epoche in cui pochi conoscevano il segreto di disegnare le parole. Gli “Antichi” sono all’origine dei Veneti di oggi, a unirli il filo rosso della Storia. L’hanno dimenticato in tanti, purtroppo. La ragione? Perché quelli “dai bei cavalli” non hanno saputo trovare la giusta fine. Un problema per tutti, sempre.
È di moda trascurare il problema “della fine”. Sbaglio colossale. Concludere in modo degno, invece, è fondamentale… un quadro, un disegno, la vita! Io ne so qualcosa. Non sono mai riuscito a staccarmi sul serio dalle mie opere. Le vedevo incomplete, bisognose di un’ultima pennellata, di un ritocco: guarda caso il più importante. Mi è stato più facile dire addio alla vita, forse perché mi ha un po’ deluso, e del resto oltre all’arte non ho mai visto altro.
Manie, dirà qualcuno e forse con ragione, una buona conclusione, però, resta impresa difficile.
Ho paura di essermi già spinto avanti, però, di avere anticipato troppo. Succede a chi, come me, non sente il vincolo del corpo e il peso del quotidiano. Spirito quale sono posso svariare da Mercato Vecchio a Venezia in una frazione di secondo. Così mi piace correre lungo le anse della mia vita per godermela un po’. In pace. Era ora. Io non sono mai stato un tipo tranquillo. La serenità? Un mistero. Dannazione d’artista, forse. Chissà…
È il caso, quindi, di ripartire, di riprendere il filo del discorso da un punto fermo e sicuro. Per quanto mi riguarda, non riesco a trovarne uno migliore di un certo inverno, agli inizi del 1954. Sì, perché le stelle dell’Acquario mi hanno portato una donna. La sola che abbia davvero contato per me.
Mi hanno portato ho appena detto. Oppure sono stato portato, perché la faccenda non è per niente chiara. Di certo, mi sento ora di dire che ha rappresentato la seconda ossessione della mia vita: Bruna, Bruna Beni, artista, compagna, moglie, madre e infinite altre identità tutte riunite in un unico corpo e con un solo viso. Quello che io ho modellato, dipinto, disegnato, inciso mille volte. Davvero non ve n’eravate accorti?

PER OTELLO ROSA

Otello Rosa era nemico di ogni conformismo, odiava soprattutto quelli che mascherano ignoranza profonda fingendo originalità, truffando i gonzi che non mancano mai e applaudono giulivi, senza saper perché.
Era uomo solo, nauseato dall’odierno universo delle vanità presuntuose, totalmente prive di coscienza etica.
La solitudine pare essere la componente essenziale dell’esistenza umana, insopportabile, quando privata d’amore e di autenticità. Gli esseri umani sono tutti spariti. Oggi contano soltanto le masse.
Le masse urlano, gridano, irrazionali, tutte assieme, prone alla volontà del capo di turno.
Arte ha bisogno di respirare aria pulita.
Arte è amore, soprattutto, che da sempre trionfa sulla malattia e sulla morte.
Arte è studio, ricerca, seguendo l’antica lezione dei classici, giunti a noi grazie al paziente lavoro dei chierici studiosi, persino attenti delle rigide regole dell’ars dictanti.
Senza conoscenza tecnica non si dà pittura, non si dà poesia.
Religioso raccoglimento e silenzio.
Uomo solo, taciturno, Otello Rosa, votato all’arte e alla bellezza, unica luce, come scriveva Dostoevskij.
Altra speranza, altra luce non è data agli umani, sempre più incarogniti.
Arte è bellezza, è luce che illumina la vita. Otello ha lottato a lungo per rischiare la nostra notte, combattendo i mostri dell’indistinto, amici del caos, nemici di ragione.
Un’acquaforte diventa meditazione di fronte al mistero della morte di Cristo in croce. Gravato, sfinito dal male, schiacciato, annullato.
In questo Cristo Otello, forse, ha raccontato il suo male, la sua solitudine, il suo dolore.
Neppure Cristo può sopportare il nero male di vivere, il nostro, il suo quotidiano male.
Un’altra, plasticamente luminosa, segna il costato del Cristo che squarcia la notte, come uscendo dalla tenebra nera, con i segni rosso sangue. Doloroso spasmo.
Nel volto geometria cristiana, angoscia, priva di dolcezza, scabra. Luminosi colori puri.
“…perché gli occhi dell’uom cercan morendo / il Sole; e tutti l’ultimo sospiro / mandano i petti alla fulgente luce.” (Ugo Foscolo, Dei Sepolcri, v. 121 – 123)
Costato di Cristo, sangue di Cristo.
Livido colore della morte.

Orgoglioso del suo essere creatore e della missione sua di artista originalmente nuovo, seppure fortemente radicato nell’antico, Otello non era incline a seguire le mode del momento.
Non era conformista.
Importante è dare sempre lezione di serietà umana.
Importante è fare un’arte onesta. Tecnicamente onesta, risultato di lavoro, di conoscenza, non buttata là, secondo momentaneo capriccio o scopiazzando e imitando l’altrui, per fare denari, magari: “schei fa schei, ciò…”.
Otello non pensava a far schei.

Esiste una piccola galleria d’arte contemporanea, dovuta alla passione del vecchio proprietario, innamorato d’arte, in un caffè, al centro di Montebelluna.
Era il 1978 quando il caffettiere acquistò dall’artista un ritratto di donna, oltre al disegno di due cavalli, a china.
Soltanto il ritratto di donna orna oggi la parete del caffè. Un grande ritratto di donna.
La gente entra, vi getta l’occhio distratta, ordina, beve il caffè, versa l’obolo, esce, indifferente alla bellezza di quelle rinascimentali mani luminose delicatamente rosate che si sfiorano armoniose.
Incanto. Le mani sono la sua cifra, quasi la sua firma, sotto i volti. Mani pure.
Visione d’anima. Non sensuale. Amore.
Una bellezza intima più che esteriore.
Altro non è la pittura di Otello Rosa, amante della luce, degli animali, delle piante, della vita, in tutte le sue forme.
Trasfigura la realtà e la contempla come da lontano e supera di slancio ogni intento crudamente realistico.
Non fa cronaca.
Pittura è magia, è essenziale poesia, senza tempo: il suo credo.
Attilio Bertolucci poeta scrive: “Ancor oggi gli artisti che contano, che fanno poesia, cioè storia, sono quelli capaci di elaborare un linguaggio autoctono, caratterizzato, immerso nella vita più profonda di una regione, di un paese. E anzi proprio oggi che il vento livellatore dell’internazionalismo soffia con più violenza, levigando le asperità, unificando i sentimenti, rendendo automatici gli atti e quindi dando ai fatti artistici un unico, monotono, grigio, disperato volto; oggi che le case costruite alla periferia di Costantinopoli sono uguali a quelle della periferia di Milano, che un quadro dipinto a Tel Aviv ha lo stesso significato spirituale e formale di quello dipinto a Chicago o a Tokio o a Roma, sempre più inderogabile appare la necessità del radicamento, del recupero di valori regionali, cioè della terra in cui si vive, di un mondo a dimensione umana. Dove l’uomo sia libero dalla ‘droga’ del conformismo, cioè di un asservimento alle potenze centrali, e dalla ‘droga’ dell’anticonformismo, cioè di un asservimento ai miti del tempo, e rimanga solo autenticamente se stesso, nella propria casa.”. (Attilio Bertolucci, La consolazione della pittura - Scritti sull’arte, Nino Aragno Editore).
Il conformismo è l’orribile mostro che avvelena e uccide il nostro tempo.
Questo vale sia per le arti visive e sia per tutte quelle della parola, ormai.
Otello Rosa ha voluto, in vita, fare parte per se stesso e odiava il mostro, che è tomba dello spirito e soffoca tutti i sogni umani.
Ha voluto essere libero.
“Se vivo sono schiavo, se sogno sono libero.”
Ha voluto sognare.

Io ho avuto il privilegio di andare a curiosare, un po’ vergognandomi, in verità, neanche fossi un profanatore, tra le sue carte, ammesso nel suo studio, tentando di parlare con il suo spirito, assieme al figlio, assieme alla sua donna, ragioni di vita.
Mi piacerebbe vederle pubblicate. Ma forse appartengono al segreto dell’uomo e ai suoi cari.
Otello Rosa era pieno d’amore. E di rispetto per la vita.
Forse tutti coloro che vanno cercando di cogliere il segreto imperscrutabile dell’arte sono dei profanatori e spesso sono costretti a restare esclusi dal banchetto, quando presumono di essere i portatori della verità, i detentori del Verbo, come toccò alle vergini stolte, che, orgogliose per essere state invitate alle nozze del Signore, vi si recarono senza portare riserva d’olio per alimentare le loro fiaccole e illuminare così la festa dello sposo.
Avrà sufficiente olio da bruciare la mia lampada, per riuscire a illuminare Otello Rosa pittore solitario?

Sotto il grande crocefisso bianco, al fonte battesimale della Chiesa di Caerano, Otello Rosa ha plasmato con la creta, il più umile dei materiali, la parabola delle vergini sapienti e delle vergini stolte, raccontata soltanto nel Vangelo secondo Matteo, 25,1-13, che ancora rimane una delle parabole più popolari del medioevo.
“Avrò abbastanza olio per mantenere accesa la mia lampada fino all’arrivo dello sposo?”
Nella chiesa di Caerano quel giorno tutto era pronto per la celebrazione di un matrimonio.
Coincidenze strane
Ho trovato subito il fonte battesimale, a destra, entrando.
Segni netti, spigoli acuti segnano i volti delle portatrici delle fiaccole.
Il pittore scultore Otello Rosa bada, come sempre, all’essenziale.
Il suo segno è netto, senza pentimenti. Non è mai casuale, improvvisato, non voluto.
Quando arriverà lo sposo?
Perché tarda così tanto?
Non era un Dio tranquillo quello che accompagnava la solitudine di Otello Rosa, che non biascicava certo rosari e novene con paternostri obbligatori.
Dio apparteneva, forse, al suo continuo desiderio d’infinito, di bellezza, d’amore.
Spigoloso solitario Dio incomunicabile.
Amore, continuo incessante desiderio d’amore.
Amore fa tutt’uno con Arte.
“Amo le creature creative dal più piccolo degli insetti al più grande dei mammiferi perché mi commuovono e mi insegnano a vivere libero.”
Anima pura, anima francescana, anima solitaria.
Anima capace di donarsi e di donare, sempre.
Anima fuori posto nel mondo degli artisti mercanti sempre indaffarati, privi di vita, attenti al denaro, enorme mostruoso Dio signore del mondo. Più mercanti che artisti, in verità.
Anima diversa.
Anima fuori mercato.

Otello Rosa pittore veneziano avrebbe desiderato che le acque e le luci della sua amata laguna accogliessero le sue ceneri: “non omnis moriar” cantava l’antico poeta classico latino, fidando ancora nella vita della poesia, vittoria della luce sul buio della barbarie e della malattia, quando disperazione aumenta e frati barbuti si affacciano inquieti, minacciando giudizi eterni e promettendo miracoli.
Ama Venezia città miracolo d’acqua e di pietra e nelle acqueforti la ritrae, con stupore e sapiente meraviglia.
Unico miracolo possibile è quello dell’arte.
Vittoria dell’amore sulla tenebra e sui fantasmi.
Desiderio da poeta.
Nessuno ascolta i desideri dei poeti… Sono assurdi, del resto, spesso impraticabili.
Che ci stanno a fare gli artisti nel mondo della brutalità becera, che è morte?
La gloria umana verrà, se mai verrà, presto o tardi, quando che sia… Importante non tradire se stessi, la propria vocazione in vita e la propria ricerca di assoluto, importante sfidare le tenebre, senza stancarsi mai, restando indifferenti al brusio della folla dei cretini.
Dio mio quanti sono…e il numero aumenta, la fila si allunga, ogni giorno di più l’esercito dei cretini marcia e avanza compatto.
Che voce avrai tu più quando sarà spenta la fiamma che ancora ti lega alla vita?

Otello non era superbo.
Era consapevolmente fuori tempo, per durare a lungo, più a lungo.
“Non omnis moriar.”

Aveva imparato molto presto a lottare contro i mostri della malattia, apparsi all’orizzonte, all’improvviso, inattesi, come il Male oscuro, che si insinua e corrode le umane deboli, fragili difese di coloro che non sono attrezzati per difendersi, perché nati artisti, chiamati a illuminare la notte, portatori di fiaccole.
I pittori donano luce al mondo. La luce intensifica la vita.
Anche per Otello non è stato facile, non è mai facile vivere: la nera brutta bestia Depressione si scatena contro le anime dei grandi, come volesse sottolineare e certificare la loro grandezza.
Nel letto d’ospedale, a china, sul foglio bianco, ha disegnato un albero contorto, pieno di disperazione, nell’inverno della malattia, nel gelo della stagione.
Da quell’albero, da quel disegno a china, raccontano che Otello abbia ripreso lentamente a vivere.
Ha combattuto e superato la notte con la pittura, cercando bellezza, sempre.
Forse soltanto bellezza può vincere la malattia della solitudine boia, della depressione che esclude. Forse.

Oh l’uomo che ne va beato e l’ombra sua non cura!
Come non sa un santo di essere santo, così un artista non sa di essere artista… L’arte è un dono. La missione dell’artista consiste nel migliorare, nell’accrescere umanità.
Non sono molti gli artisti e di solito non gridano nelle piazze per farsi applaudire dal vulgo ebete. Ma esistono anche le eccezioni, in questi anni, soprattutto. Il tempo dirà.

Otello Rosa cercava la luce.
Cercava il calore.
Cercava e donava amore.
Dietro ogni opera vera, in ogni incisione, in ogni acquaforte si cela un dramma.
Senza compiacimenti, senza barocche volute, senza giochi.
Non è mai facile sciogliere le catene della malattia, dipanare il nodo, senza tagliarlo di brutto.
La chimica avvelena, intontisce, uccide. Le pastigliette colorate ti accompagneranno fedeli fino alla fine dei tuoi giorni.
Con fatica, a poco a poco, grazie alla pittura, e al lavoro, il mondo si rasserena e nel cielo tornano a sorridere le stelle.
“Le mie spoglie siano bruciate e le ceneri liberate al vento della mia laguna.”
I burocrati della morte vigilano, affinché i desideri ultimi dei vivi non possano realizzarsi mai.
Era venuto al mondo il 27 settembre 1920, prima che il Duce marciasse su Roma, e ci ha lasciato il 15 gennaio 2007.
Funerale celebrato nel duomo triste neogotico di Montebelluna, il paese che lo ha ospitato, non compreso.

Non ebbi pace non ebbi vita
in questa area a me nemica.
Mi trovai soltanto in quattro cuori. (controllare)
E i rimanenti traditori
Bugiardi, ricchi avari
Arricchiti finti tonti
Per sfruttarmi nei lavori.
(dal brogliaccio di lavoro di O. Rosa)

Diranno soltanto che è morto da cristiano, il prevosto gli ha portato perfino la comunione, dopo tanti anni di assenza dai sacramenti.
“Ieri 13 aprile 2006 dopo alcuni anni di rinuncia ho ricevuto l’eucarestia.”
Ci sarà un luogo nel cristiano paradiso per le anime degli artisti, che hanno lottato tutta la vita contro i mostri della malattia e della solitudine, per donare bellezza e poesia?
“Si est Deus, unde malum?”
Il vento della sua laguna non può accogliere e accarezzare leggero e pietoso ancora le ceneri del pittore.
Otello Rosa amava Venezia, città miracolo di pietra, d’acqua, di luce, di poesia. Amava i ponti, le basiliche, le torri, di Venezia. San Marco basilica d’oro e palazzo ducale, sede d’antiche glorie.
Magia dei notturni veneziani, nelle acqueforti. La sua Venezia ha l’incanto del sogno della visione fantastica, mentale. Visione d’anima.
Fascino dei cavalli, immagine di forza e di potenza, voglia di vita. Energia. Nei cavalli pieni di forza e di movimento pone il suo desiderio di una vita piena di salute, che sconfigga il male. Per sempre.
Cinquecentesca, rinascimentale energia. Un sogno. Il sogno di tutta un’età sempre più lontana.
Vita come roccia di gridi. Solitudine.
Sono pericolosi i portatori di bellezza e di verità.

Artista.
Tante grazie. Fanculo a tutti.

“Dall’istituto d’arte iniziai a variare i modi di disegnare e di dipingere e così continuai per tutta la vita… Quasi tutte le arti ho studiato con grande gusto, adoperandole a modo mio con tecniche mai uguali. Mi attraevano i mestieri e ho voluto provarli quasi tutti.”
Sperimentare. Nell’arte e nel lavoro umile artigiano Rosa ha trovato risposte, ha placato la sua sete d’infinito.
Orgoglio.
“Mi è concessa la terra ancora per poco, ma cercherò di seguitare a vivere nell’angoscia della mia solitudine soltanto per continuare ad amarti.”
“1gennaio 2007- Ho un piede nel non essere. Sto lottando per trovare pace e umiltà nella coerenza dell’amore per sconfiggere il male e toccare il bene alla fine del mio vissuto.”
“Sono occupato ad amarti, malgrado l’età.”
“Io sempre mostro sono.”
Consapevolmente mostro, che in latino vale anche per straordinario, miracoloso, meraviglioso, come suggerisce il vocabolario Gaffiot.

Un’amica mi dice di avere in salotto alcune tele di Otello Rosa.
Mi affretto a incontrarle.
Nella tela un autunnale vigneto della nostra terra, forse, dopo la vendemmia, non malinconico, serenità luminosa. Natura trasformata dall’Arte, intensificata, non fotografata.
Emozione. E’ il vigneto di Otello Rosa, inconfondibile.
Amava dipingere alberi e vigne, abbandonati nella campagna d’inverno, che gli sono cari, forse perché tengono in loro il segreto della vita, perché soffrono le stagioni, senza gridare, perché hanno radici profonde.
Hanno l’anima.
“Se non fossi uomo vorrei essere albero.”
Inverno. Freddo. Come l’angoscia che soffoca il cuore.
E fiori, delicatissimi fiori.
E un ritratto di donna. La sua donna, forse.
Certo che sì.
Era puro nell’animo. Bisogna esserlo, per ritrarre la Donna, la propria donna.
“Il corpo femminile per natura è sacro.”
Anche il volto.
“Non ammetto il corpo femminile esposto ai quattro venti. Bisogna meditarlo, studiarlo… rispettarlo come un’icona”.
Donne icone, donne sante. Come quelle di Guido Guinizzelli e di Dante Alighieri, signore dei cuori umani.
Aura di sacralità in tutti i suoi volti.
Il corpo femminile è un tempio.

Nel tempo della lussuria e del commercio Otello Rosa ha scelto di vivere in disparte, quasi infastidito dalla profanazione continua, dalle esplosioni impudiche anatomiche.
Nel suo studio rimane un grande nudo di donna, disteso sulla laguna, con l’isola di San Giorgio sullo sfondo, opera ultima, lasciata incompleta.
Chissà, forse avrebbe voluto presentarla al Padre, come lasciapassare per il suo regno, ma l’impaziente Dio non ha saputo aspettare che l’Artista portasse a termine il lavoro. Aveva Otello ormai tessuto tutta la tela della vita e consumato nell’attesa dello sposo tutto l’olio della lampada.

L’amica racconta che era un uomo davvero buono e mi mostra i fiori dipinti dalla giovane accolta nel suo studio di vecchio pittore, incisore, artigiano, che avrebbe voluto aiutarla a vincere il male, insegnandole i segreti dell’Arte, dei mezzi tecnici necessari per dare forma e vita, per quanto possibile, alla creatura umana.
“Non è bastato”, dice ancora, “i mercanti di morte, spacciatori assassini, non hanno mollato la presa e, malgrado il talento della giovane artista, l’hanno fatta morire.”
Si è impiccata, non ha saputo resistere al male, alla vergogna, considerando inutile la sua vita, non ha creduto al sogno di Otello, non ha creduto alla bellezza.
Pietà.
Umanità suicida.
Fiori recisi.
Di tanta e giovane vita restano fragili, esili dipinti, appesi alle pareti nell’interrato, non firmati, eseguiti sotto la guida di Otello Rosa incisore, pittore, scultore, ceramista… maestro sapiente.
Maledette per sempre siano le brutte bestie che l’hanno ingoiata!
Anche di questo ha sofferto molto il cuore vivo e puro di Otello Rosa, che ha sempre voluto donare se stesso, instancabilmente, incredibilmente fiducioso che l’arte possa sconfiggere le tenebre della notte e ogni male.
Sua dolorosa illusione.
“Si può morire anche prima di morire. La solitudine per chi l’ha provata è peggiore della morte, anzi la morte si desidera. Essa non provoca dolore ma sollievo.”

“Vorrei amare tutti come amo Bruna mia, Venezia amore mio, come la Bruna.”
Amore, Amore, Amore.
Soltanto l’amore, soltanto l’arte sconfigge la notte.
Parola di Otello Rosa pittore poeta pieno di bellezza e d’amore, drammaticamente cristiano.
Artista vero e davvero grande che ancora rinnova nelle opere esposte il miracolo della vita, misterioso, indecifrabile enigma, fissato, forse, nelle costellazioni, che da lassù vegliano sulla vita di ogni vivente, Capricorno, Acquario, Pesci, Ariete, Toro, Gemelli, Cancro, Leone, Vergine, Bilancia, Scorpione, Sagittario, Capricorno. Quante storie ci sono nel cielo degli antichi!
Anche Otello amava cercarle nei notturni sereni e ritrovarle, favoleggiando, mentre Orione invano cercava di sfuggire ad Artemide cacciatrice infallibile dardo… Già sorgono le Pleiadi, come volo di colombe… l’ora è propizia. E’ tempo di navigare… Dal porto di Venezia sua ancora potrebbero salpare le galee che vanno a Oriente…
Di cultura classica e di studio si nutre l’arte di Otello Rosa, che ha vissuto, sperato e sognato che l’arte possa rendere più sereno, più vivibile, più giusto e meno brutale il mondo degli umani.
Al cielo la sposa di Tolomeo III Evergete re d’Egitto, morto nel 221 a.C., Berenice regina, offerse la sua splendida capigliatura, per ottenerne dai Celesti il ritorno dalla guerra… Da allora splendono lassù i suoi riccioli d’oro.
Un miracolo d’amore l’arte e la vita di Otello Rosa.

Franco Zizola, novembre 2011

LA VITA DEL POPOLO - 24 settembre 1989 - (Nestore Trentin)

Recensione di Nestore Trentin - La Vita del popolo 24 settembre 1989

1949-1951 - CERAMICHE R.S.C.- CERAMICHE CO.ROS, CAMPIELLO DEL REMER, S.POLO 2070, VENEZIA

La "Ceramiche R.S.C." di Rosa, Stocco e Coppano, fondata nel settembre del 1949, diventò già dal dicembre dello stesso anno la "Ceramiche Co. Ros." in seguito al ritiro di Emilio Stocco (Asolo 1913) che si trasferì negli Stati Uniti, dove ha tenuto un proprio laboratorio di produzione di serie e dì pannelli decorativi per 37 anni, per rientrare quindi a Venezia (Stocco proveniva dalla Scuola d'Arte dei Carmini e aveva studiato poi architettura). Negli anni '46 / '47 il laboratorio m Campiello del Remer, prima della "R.S.C.", era condotto da un certo Vianelli, poi emigrato in Argentina e per alcuni mesi vi aveva prestato collaborazione il giovane Alessio Tasca, allora studente a Venezia. Alla partenza di Vianelli la fornace (di importanza storica e controllata dalla Soprintendenza) fu affidata a Giovanni Pivetta(l917) il quale usciva, come Rosa, dall'Accademia di Venezia e si stava interessando alla ceramica. Passato alla "S.Polo" Pivetta vi chiamò inseguito Otello Rosa. La "R.S.C." divenuta quasi subito CO.ROS, pure nei limiti di tempo e organizzativi che la caratterizzarono, è importante perché e qui che esordisce in ceramica Otelio Rosa (Venezia 1920), una delle figure più interessanti tra i ceramisti apparsi in ambiente veneziano. Rosa, dopo aver frequentato l'Istituto d'Arte dei Carmini passa all'Accademia di Belle Arti di Venezia, dove diventa assistente di Saetti. Interrotta questa esperienza dalla lunga pausa della guerra, Rosa si decide, senza particolari motivazioni e quasi per caso, a tentare la via della ceramica.
Perciò acquisisce con Stocco e con Alessandro Coppano (Venezia 1901 1978) il laboratorio di Campiello del Remer. Nei due anni alla "Co.Ros.", ma si impegnò nella realizzazione di pezzi unici, Rosa non sviluppò una produzione di serie, come quelli esposti in questa occasione, ìn cui l'originalità della modellazione va di pari passo con la padronanza nell'uso degli smalti. Opere come "Furore" e "Fondo marino" sono altamente rappresentative di questa fase in cui la ricerca plastica sembra richiamare coeve esperienze di Lucio Fontana, mentre la ricerca cromatica degli smalti raggiunge esiti astratti. In seguito alla chiusura forzata del laboratorio (di proprietà dell'antiquario Bellini di Firenze, che ristruttura lo stabile) Otello Rosa si trasferisce alla "Ceramiche S. Polo" in veste di direttore artistico.

Fonti: Archivio della Camera di Commercio, Venezia.

1947-1959 - CERAMICHE S. POLO, CALLE PEZZANA, CAMPO S. POLO, VENEZIA

Nel 1947, avvalendosi di maestranze provenienti dalla Toscana il ragioniere Riccardo Mason fondava la "Ceramiche S. Polo" nel palazzo di sua proprietà in calle Pezzana, in Campo S. Polo. In quel momento l'unica fabbrica a Venezia è quella dei fratelli Guerrieri che durante la guerra hanno sviluppato una produzione dì stoviglie. La "S. Polo" si orìenta in questo primo periodo '47-'51 a una produzione accentuatamente decorativa: vasi e piatti, lampadari e oggetti in genere sono improntati a una decorazione vivace, con la particolarità della doratura a terzo fuoco. Un tentativo dì produzione industriale di questo tipo di ceramica entra in crisi nel '51, anche per i costi di produzione eccessivi. In questo frangente critico, proprio quando la dirczione della "S. Polo" cercava una via d'uscita, entra in scena Otello Rosa che a sua volta era stato costretto ad abbandonare il laboratorio di Campiello del Remer. Rosa accetta di passare alla direzione artistica della fabbrica.alla condizione di avere la massima libertà negli indirizzi artistici. Ciò che si verificava alla "S. Polo" non è, pertanto, un cambiamento di direzione, ma una vera e propria rifondazione. E merito dì Otello Rosa (e di una gestione manageriale indifferente al tipo di prodotto) e in seguito dei suoi collaboratori (Nerone Fanton, Pino Goffi, Elio De Pasco, ecc.) aver dato vita a una nuova fase della ceramica veneziana. Nel passare da una produzione di pezzi unici come quella svolta alla CO.ROS. a una produzione in serie, Otello Rosa tiene fermi alcuni aspetti ormai acquisiti della sua formazione di ceramista: dall'uso del tornio all'applicazione di smalti, con alcune novità di rilievo. Innanzitutto le grandi dimensioni, sia nei vasi che nelle bottiglie al collo allungato o nei pannelli o nelle sculture; inoltre tutte le invenzioni sono orientate all'arredo della casa, con un rapido allineamento alle indicazioni all'arredo moderno, come emergeva dal dibattito in corso su riviste come "Domus". Conseguentemente a queste scelte, la produzione della "S. Polo" si articola in una vasta gamma di soluzioni, che vanno dal tavolino al caminetto alle lampade alle decorazioni murali fino alle fontane. Molte di queste ceramiche, il cui stile appare decisamente superato, vanno giudicate nel contesto dell'arredo complessivo del tempo. Indubbiamente dell'enorme produzione "S. Polo", che andrebbe depurata dall’aggiunte successive della gestione Zannini (Ceramiche veneziane), non rimane molto al livello di pezzi come; "Ritmo a due colori", "Ritmo a tre colori", (eseguite da Otello Rosa) esposte alla Biennale del 1954, oppure a vasi come quelli esposti in questa occasione ("Vaso con maschere" e "Vaso con manico"). Sta di fatto che questa manifattura, che arrivò ad occupare 70 operai, costituì un modello nella determinazione del gusto e della moda della ceramica moderna. Con le installazioni all'estero di fontane e pannelli (anche al Lido di Venezia) e con grandi inerventi in alberghi e centri direzionali, la ceramica fu vista in nuove dimensioni, con una curiosa coincidenza con quanto si prefiggeva il "Manifesto futurista" della ceramica (1939). Tra i pannelli più notevoli, per dimensioni, quello realizzato da Pino Cioffi all'Hotel Continental di Venezia sul tema del Bucintoro mentre sempre a Venezia, al Bonvecchiati, sono ancora installati i copritermosifoni, realizzati smaltando e decorando "forati" estrusi di produzione industriale.

Bibliografia: "La ceramica nell'arredamento"; catalogo delle "Ceramiche Veneziane" Venezia (s.d.); catalogo Biennale di Venezia 1954.

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